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Manifesto Culturale

La Libera Officina ha avvertito sin da subito, appena costituita, la necessità di esprimere una propria visione culturale circa le direttrici dello sviluppo economico e dell’evoluzione sociale, oltre alle proprie opzioni di senso e di significato inerenti la crescita della persona.

Per questo ha redatto il presente Manifesto, a partire dai lavori e dagli studi già realizzati dai suoi Fondatori.

I. Nessuno di noi è in grado di  “prevedere il futuro”, ma quando pensiamo alla società in cui si troveranno a vivere le nuove generazioni, siamo portati ad avere due sentimenti ambivalenti, la paura e la speranza. A livello mondiale non è chiaro come saranno regolati, superati, risolti i conflitti socio-economici, politici, interculturali; non è chiaro fin dove oseranno spingersi le biotecnologie e la genetica e quali saranno i confini etici del necessario progresso scientifico; non è chiaro fino a che punto le grandi imprese multinazionali che governano “davvero” il pianeta aumenteranno il loro potere attraverso la continua conquista di nuovi mercati e aree geografiche; non è chiaro cosa accadrà veramente all’eco-sistema; non è chiaro con quali modalità si potrà arrivare ad una società interculturale basata sul “rispetto reciproco”, “la tolleranza” e sul riconoscimento diffuso del valore della “differenza”; non è chiaro quale mondo erediteranno i nostri figli; non è chiaro tutto ciò, al di là di atteggiamenti e propagandismi demagogici, catastrofici, superficiali, o, peggio ancora, manipolatori.

II. Gli effetti socio-culturali dell’attuale modello di sviluppo economico sono sotto gli occhi di tutti: il primato della produzione e del consumo, ha dato vita ad una cultura deritualizzata, inespressiva, materialista. La centratura sul “qui e ora” ha messo in crisi quell’attenzione “profonda” per  la memoria e  le radici culturali, risorse necessarie per costruire un futuro di speranza e di reale progresso culturale e sociale. Questo tipo di sviluppo ha peraltro creato nuove forme di linguaggio, estremamente funzionali, sintetiche, ma senza anima, aderenti alla inespressività linguistica della comunicazione commerciale L’attuale struttura sociale risulta essere più vulnerabile a nuove forme di totalitarismo, o comunque di manipolazione mediatica. Elettronica, informatica e telematica oramai pervadono ogni aspetto della vita quotidiana, il benessere materiale sembra essere più diffuso rispetto al passato, eppure un senso di crisi e di insicurezza rispetto al futuro sembra invadere l’essere umano.

III. La società industriale nella sua fase più matura e l’avvento del post-industriale hanno dato vita e forza al consumo di massa, sino al “conformismo solidale” dove i mezzi si sono via via sostituiti ai fini. Se da un lato si è garantita la salvaguardia del sistema democratico e liberale, per altri versi si è prodotta una massificazione controllata dal potere economico, sino alla crisi di valori unificanti quali la solidarietà, la pace, la tolleranza.  In questa società ha insomma preso piede un’etica sociale che di fatto ha adattato l’etica individualistica alla società di massa ed ha trasformato la “solidarietà sui fini” in “conformismo solidale”. In altri termini il conformismo dei comportamenti di massa è divenuto il nuovo collante sociale, spiazzando l’adesione a fini comuni inerenti il senso del progresso, della storia, dello sviluppo sociale, della vita delle comunità locali (pur all’interno di una società globalizzata). Ne è derivata una civiltà estremamente pragmatica, forse la più concreta e materialista che la storia abbia mai conosciuto, iperattiva sotto il profilo tecnologico ed economico, ma priva di effervescenza e di spuma culturale.

IV. Il modello di individualismo, proposto dal capitalismo globale, è tutto proiettato sulla dimensione psico-fisica dell’essere umano. Ma questo paradigma ha dimenticato che la persona ha si una struttura sia fisica che psichica, mentre essa è anche spirituale. L’essenza dell’uomo sta nell’unità di questa triplicità.

Diviene allora necessario riappropriarsi di una riflessione ontologica profonda sull’idea di umano. Qualsiasi conoscenza pertinente non può trascurare la multidimensionalità della condizione umana. Deve riconoscerla ed accettarla, farla propria. Pertanto non può isolare una parte dal tutto, o le singole parti le une dalle altre. In altri termini qualsiasi conoscenza pertinente deve affrontare – e non rifuggire – la complessità. Proprio perché essa deriva dal legame tra l’unità e la molteplicità. Purtroppo il concetto di uomo, e dunque la stessa idea di ciò che sia umano, sono non solo scissi tra la dimensione bio-fisica e quella psichica e socio-culturale, ma hanno addirittura trascurato quella spirituale.

V. L’unica soluzione praticabile per la convivenza sociale è e resta  la democrazia, poiché incorpora l’idea della libertà e dell’uguaglianza. Ma essa è in crisi, proprio in quelle società cosiddette democratiche che a loro volta, intendono avviare processi di democratizzazione in altre parti del mondo dove la democrazia non è mai esistita. Ma come si fa a diffondere una valore che è esso stesso in crisi, che sta vivendo una fase di regressione? La regressione della democrazia dipende dalla tecnicizzazione della politica e dalla esclusione dei cittadini dai reali processi di partecipazione. Ma dipende anche dalla crescente subalternità della politica alla vita economica sia planetaria che locale. Allora non potrà esservi “rigenerazione democratica”, in un paese o sull’intero pianeta, senza il recupero del senso civico, della solidarietà, della responsabilità sociale. Il che significa affrontare la più importante delle emergenze umane: il dissolvimento del sociale, per una “non fasulla” ricerca del bene comune.

VI. La crescita meccanicistica del mercato e della società ha sostenuto il consolidarsi di una “cultura aspirituale”, ma soprattutto ha concentrato l’attenzione sull’immanenza funzionale. I bisogni di trascendenza e socialità, di ricerca di un fine, di incontro con gli altri, di espressività esistenziale, sono stati inariditi ed impoveriti dalle organizzazioni del consumo. Dunque una vera razionalità non può non accogliere il mistero. Così come una vera razionalità non può non accogliere il significato e il senso, quindi  l’autotrascendenza. Del resto l’era post-industriale non è solo società dell’informazione, del terziario, della tecnologia, della conoscenza, della globalizzazione, della interculturalità, dell’immagine, e di altro ancora, ma è anche una grande fase – irrisolta, dinamica, contraddittoria, evolutiva – di transizione simbolica e mistica, circa gli atteggiamenti dell’uomo verso la spiritualità.

VII. Qualsiasi processo di emancipazione e di sviluppo di una società presuppone la costruzione culturale di una realtà sociale. Si basa dunque sulla percezione, sia individuale che collettiva, del mondo circostante reale e di quello migliore immaginabile. Qualsiasi tipo di sistema sociale non può evolvere senza un processo prima immaginativo e poi comunicativo. E’ necessario prima di tutto immaginare in modo diverso la realtà. Senza una tale visione non può essere progettata una nuova via. L’immaginazione deve poi tradursi in condivisione culturale e sociale e subito dopo in testimonianza, e in azione coerente. Non deve essere sottovalutato il potere pedagogico delle azioni che sono sempre oggetto di percezione sociale. Attraverso il buon esempio degli adulti i giovani avranno a disposizione più strumenti non solo culturali, ma anche affettivi ed etici, per partecipare con forza e impegno alla costruzione del bene comune e di un mondo migliore.

VIII. Alla radice dei diversi problemi della società moderna vi è sicuramente la perdita di “senso” che, oltre a determinare un dilagante “relativismo etico”, finisce col sostenere e riprodurre all’infinito un’illusoria e sterile ricerca di forme effimere di felicità, spesso condizionate da invisibili processi di consumo coatto.  Il superamento delle istanze materialistiche e consumistiche, funzionali ed utilitaristiche, ma anche dello scetticismo e del relativismo etico, necessita di un ritorno all’idea ontologica del “prendersi cura”. Un “prendersi cura” degli universi relazionali interiori ed umani, dell’intenzionalità della vita, così come della propria medesimezza ed integrità, della consapevolezza di sé, e poi della espressività creativa ed estetica, della formatività dell’azione, e, ancora, della epistemologia del conoscere, dell’apprendere e dell’esperire, sino a “poter essere per altri”, e trovare qui un compimento di senso.

IX. All’interno di questo mutevole ecomplesso scenario, ed all’interno di una società sempre più globalizzata, la “comunità locale” acquisisce un ruolo strategico per governare efficaci processi di socializzazione e di crescita culturale delle persone. Infatti la comunità locale può essere definita come l’insieme delle persone, istituzioni, associazioni, organizzazioni economiche e sociali operanti all’interno di uno specifico territorio, e delle loro interazioni, visioni, legami, risorse. Diviene quindi fondamentale sviluppare occasioni di comunicazione e di relazionalità tra diversi sub-sistemi sociali: istituzioni e policy locali, mondo del lavoro, organismi educativi, famiglie, cittadini. È questa riflessione che ci propone di spostare l’osservazione dei fenomeni sociali da una visione puramente funzionalistica, ad un’altra più ontologica, di ricerca del senso e del significato profondo dell’esserci come persone, proiettate verso  l’alterità inter-umana.

X. E’ prioritario rivitalizzare il “ruolo dell’educazione”, non solo per comprendere il futuro, ma soprattutto per riformare il pensiero entro traiettorie transdisciplinari, in modo da affrontare le difficili sfide che attendono noi, ma soprattutto le nuove generazioni.

Molti sistemi educativi si sono arresi alla schiacciante complessità del post-moderno. Una rinnovata cultura sociale non potrà essere tuttavia costruita senza affrontare, anche all’interno degli stessi sistemi educativi, un dibattito più ampio sui limiti del capitalismo e dell’economia classica, sulle tensioni e sulle contraddizioni sociali che interessano l’intero pianeta, sulle possibilità di uno sviluppo economico compatibile, attento alle reali esigenze degli uomini, delle donne, dei bambini, dell’ambiente, e quindi di un reale progresso socialmente orientato. La riappropriazione di consapevolezza e di rinnovate forme di progettualità, da parte dei sistemi sociali (primi fra tutti le famiglie, le organizzazioni educative e le comunità), è dunque l’unica chance per invertire una rotta che altrimenti rischia davvero di assumere i toni del determinismo e dell’ineluttabilità.

XI. L’avvento della complessità ha dato vita a forme multiple di fragilità e di vulnerabilità. Prendersi cura della loro inclusione sociale costituisce una via per una rigenerata umanizzazione, per il consolidamento di una vera counità di destino. Le persone a rischio di emarginazione sociale o in situazione di povertà educativa od economica sono sempre di più, eterogenee e diversificate per profili e bisogni. Sostenere in un processo di assistenza o di crescita una persona a rischio di esclusione sociale è in ogni caso un compito complesso, sistemico, che richiede non solo qualità esistenziali ed etiche, ma pure competenze ad alta intensità relazionale ed emozionale. Al tempo stesso i sistemi di welfare locale vanno concepiti in una logica integrata, policentrica, di lavoro di rete, dove i servizi sanitari, sociali, eductivi, formativi e per il lavoro, assieme alle diverse opportunità del territorio, sono capaci di condividere esperienze, risorse, progettualità, capacità, per il bene comune e delle persone.

XII. La crescita integrale della persona fragile e vulnerabile parte dal pieno rispetto e valorizzazione della sua dignità, dei suoi tempi di emancipazione, delle sue risorse e talenti personali. Per questo motivo i professionisti del lavoro di cura e di aiuto devono sviluppare un quadro articolato di capacità: non sono sufficienti le competenze tecniche e specialistiche; non basta neppure aggiungere a queste la consapevolezza della complessità dell’azione professionale e dunque il pensiero sistemico che ne deriva. Serve ancora qualcosa in più. Casomai la coltivazione delle virtù e del saper essere, di quel saper stare dentro la complessità del vivere, del servire e dell’aiutare, verso un orizzonte etico e di senso.

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